Bentornata, pajata!

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A Roma dicesi pajata l’intestino tenue del vitellino da latte. Questo elemento del cosiddetto “quinto quarto” bovino viene adoperato per un monumento della cucina romana: i rigatoni con la pajata, appunto. Ordunque, erano quattordici anni che i rigatoni con la pajata non si potevano mangiare. O meglio, magari nei menu delle trattorie romane c’erano anche, ma in realtà non si adoperava la “vera” pajata, bensì la trippa d’agnello, e roba del genere. Perché la pajata da quattordici anni era vietata. Ma ora non lo è più, grazie al cielo.
Il divieto era un vecchio retaggio del caso mucca pazza, ricordate? Nel luglio del 2001, in piena emergenza sanitaria per la diffusione della Bse, venne vietato l’uso di alcune frattaglie di origine bovina, che si reputavano a rischio. La pajata era una di queste.
La sera del 17 marzo scorso, il Comitato permanente vegetali, animali, derrate alimentari e mangimi dell’Unione europea ci ha ripensato e ha dato il proprio assenso alla modifica del regolamento comunitario numero 999 del 2001 sulle misure di prevenzione e controllo della Bse.  Il regolamento che elencava gli organi bovini considerati potenzialmente rischiosi. Del resto, già nel maggio del 2013 l’Organizzazione mondiale per la sanità animale aveva stabilito che in Italia il rischio dell’encefalopatia spongiforme bovina si poteva definire “trascurabile”, il più basso di tutti. E comunque era dal 2009 che non si registravano casi di mucca pazza tra bovini qui da noi. Merito dei controlli che si fanno da queste parti.
Ergo, la pajata non è più vietata. E nelle trattorie romane è tornata ad essere protagonista.
Oh, sia chiaro, i rigatoni con la pajata non sono roba per chiunque. Come la coda alla vaccinara, voglio dire. Insomma, piatti gustosissimi, saporitissimi, ma mica facilissimi poi da digerire, perbacco.
Ebbene, io il ritorno della pajata l’ho voluto festeggiare alla trattoria da Roberto e Loretta, in via Saturnia, quartiere Appio San Giovanni, Roma. Un posto dove si mangia benone.
Mi sono preso le puntarelle con le acciughe, i rigatoni con la pajata (perfetti, cottura al dente, sugo ghiottissimo), e poi anche la coda alla vaccinara. Applausi. Mica a me, ai piatti.
La digestione? Con l’aiuto di un gin tonic è andata.
La soddisfazione? Enorme.
Bentornata, pajata!

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