Le tre regole del grande vino

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Ogni tanto lo si sente dire : è un grande vino. C’è persino una guida che ha un premio che si chiama “grande vino”. Già, ma quand’è che un vino è davvero “grande”? Sull’argomento, come su qualunque altro tema, si può discutere fin che si vuole. Però il parere di chi i “grandi vini” è abituato a farli magari può contare qualcosina, mi pare. Dunque, vorrei segnalare che sulla faccenda è intervenuto uno che quando parla di “grandi vini” sa per davvero cosa vuol dire, e mi riferisco a Jean-Hubert Delon, proprietario di Château Léoville Las Cases e del Clos du Maruis a Saint-Julien, in terra bodolese, nonché, sempre da quelle parti, di Château Nénin a Pomerol e Château Potensac nel Médoc, e dunque bisogna togliersi il cappello.
Bene, sulla Revue du Vin de France c’è una lunga intervista a Monsieur Delon, e a fargliela sono stati Olivier Poels e Denis Saverot, grandi firme della rivista. A un certo punto ricordano a Delon che una delle sue grandi battaglie è quella di convincere la gente che i grandi vini (ecco qui la fatidica definizione) di Bordeaux devono invecchiare, mentre la gente li sta bevendo sempre più presto.
Quel che dice lui è da incorniciare. Eccolo: “Ci sono tre punti fondamentali che da sempre caratterizzano i grandi vini di Bordeaux e di altri posti. Il primo punto riguarda il gusto. Devono evocare la personalità del luogo che ha visto la nascita del vino. In ogni caso, un Saint-Estèphe non dovrebbe mai sembrare un Margaux. Il secondo è che un grande vino deve possedere una freschezza tale da poterlo consumare a tavola. Infine, il terzo è che devono migliorare con l’invecchiamento”.
Dicevo prima che bisogna togliersi il cappello, davanti a gente così. Appunto.